Tre motivi (più uno) per cui la “gavetta” non ha più senso (di R. Maggiolo)

"I giovani non sono più così inclini a soffrire per uno stipendio maggiore o per un biglietto da visita altisonante; non sono più così interessati a far vedere di lavorare lunghe ore e mostrare di essere i migliori. A torto o a ragione, pensano che i soldi perlomeno per i bisogni di base ci siano, e che l’identità sociale si costruisca in altro modo (sui social, per esempio)" (da HuffPost Italia)

           

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La gavetta aveva senso 25/40 anni fa, dove le possibilità economiche, di carriera, di conoscenza ma soprattutto contrattuale e di stabilità erano uguali per tutti, ma bisognava guadagnarseli man mano. Oggi le tappe sono già bruciate e i tempi di permanenza in un'azienda, ridotti. Oggi c'è precariato, contratti brevi, commesse altalenanti, stipendi bassi, potere d'acquisto ai minimi e non c'è più il tempo di aspettare la propria posizione all'interno della gerarchia tra i colleghi. Oggi ci sono quarantenni che hanno cambiato un lavoro l'anno ma che lavorano comunque da 20/22 anni che si trovano assunti in aziende dove trovano il collega di 19 anni che dovrebbe quindi essere più anziano. Pensate mica che un quarantenne con 20 anni di lavoro alle spalle, magari con contratto a termine, possa mai sottostare alla gavetta? Lo stesso discorso vale per i giovani che, si trovano precari, contratto a termine e comandati da colleghi con più anzianità di lavoro magari fissi ma talvolta anche precari. Di che gavetta dobbiamo parlare all'interno di un tessuto sociale, lavorativo ed aziendale precario? Non ci sono più le tempistiche di permanenza lavorativa all'interno delle aziende da poter parlare di gavetta. Tutti pensano al presente e non più al futuro, questa mancanza di progettualità e di futuro, fa si che i lavoratori non pensano alla gavetta come forma di scambio per aggiudicarsi un futuro a cui non credono più. Oggi si pensa ad oggi, domani si vedrà. La gavetta non è più un obbligo e neppure uno status sociale e lavorativo da barattare per guadagnarsi qualcosa. Oggi si deve parlare di produttività, il neo assunto deve produrre e basta con il minor costo e maggiore resa, l'anziano deve produrre uguale perché è molto più pagato e garantito o diventa un costo non più necessario. Ciò lo penso sia da anziano lavorativamente parlando che da neo assunto. Ho 44 anni, di cui 22 che lavoro, ma nuovamente assunto da 5 e i giovani che arrivano dopo di me, con me fanno le stesse cose che faccio io, il carico del lavoro dev'essere distribuito e non esiste gavetta, esiste solo rispetto per il lavoro, il collega e basta. Si perseguono stessi obiettivi e l'anziano non ha alcun diritto e potere sui neo assunti, siano giovani o meno. Per quanto invece riguarda le aziende, giusto che chi è più anziano venga retribuito di più, ma al pari di produttività e non dovrebbero permettere lassismo agli anziani con la scusa della gavetta. La produttività è una cosa che interessa tutti allo stesso modo.


Ruggero Freddi sul primo punto. Ci sono mansioni che non sono retribuite in modo sufficiente per campare in modo decoroso. La gente che copre queste necessità o fa la fame o si arrangia, che generalmente significa dedicarsi ad attività più o meno legali o spaccarsi in due/tre impieghi diversi, con conseguenze tremende per la vita della persona. Ora, siccome certe cose qualcuno le deve pur fare, una società che si dice civile dovrebbe dimostrarsi grata, visto e considerando che queste mansioni necessarie e sottopagate sono generalmente tutti i lavoratori "dietro le quinte", cioè quelli che consentono a tutti gli altri di vivere la vita "normale" alla occidentale che conduciamo noi tutti. Quello che descrivi al punto 2 è il sistema post calvinista all'americana. Sul suo funzionamento fai riferimento a loro in termini di sistema sanitario/previdenziale/culturale. Chi si vuole impegnare e ne ha la possibilità di solito scappa a gambe levate da questo paese. Quelli che non possono o non vogliono andarsene invece devono cavarsela come possono. Per inciso: ricordati che se ti spacchi una gamba e vai in ospedale, a pagare siamo noi tutti per te, perché in un momento di difficoltà la nostra società si stringe (ovvero ci prova e spesso fallisce, ma l'idea sarebbe quella) intorno al soggetto in difficoltà, anziché cercare di liberarsene all'americana.


Lorenzo Yuel Di Mario guarda, fino a 100 anni fa lo avrebbero fatto solo per poter mangiare gli avanzi della casa del padrone, oggi se non hai un i-phone, un appartamento tuo e 20 giorni di vacanze l'anno in un 4/5 stelle la vita non è dignitosa. vuoi quella vita? lavora e sodo. Ps non sono affatto contrario ad una società che aiuta i deboli: chi è malato, chi scappa da un paese povero dove non ha avuto opportunità, chi sta passando un momento difficile per un motivo o per un altro. Ben diversa è la questione se si tratta di sostenere sistematicamente gente che pur essendo sotto qualificata vuole prendere lo stipendio di un ingegnere. Il vero problema è che un ingegnere con meno di 5 anni di esperienza è pagato tra i 1300 e i 1500 mentre un cameriere ne pretende 1800. Ecco, questa è la fine della società. la parte divertente è che l'ingegnere sa che sta investendo su se stesso e sul suo futuro, lavora a testa bassa e non si lamenta, poi dopo anni inizia a guadagnare come è giusto 20K al mese e arriva chi gli dice che è un porco sfruttatore e che deve cedere il 75% di quello che ha ai vari camerieri e i loro derivati... ciaone


Ruggero Freddi mo cerco di spiegarti. Nella nostra società servono un sacco di figure "dietro le quinte" che spesso, per ruolo o competenza, non guadagnano il necessario per vivere. Non possiamo essere tutti medici o avvocati, e la ragione per cui in Italia abbiamo non so quante volte più avvocati della Francia è precisamente questo: invece di pensare alle proprie inclinazioni, ai giovani si chiede di tenere d'occhio il portafoglio. Il RDC sarebbe uno strumento utile ad integrare gli stipendi di chi svolge un'attività importante ma sbarca a mala pena il lunario. Con il RDC non vivi nel lusso da nessuna parte, come pure con le pensioni sociali e con tutte le altre forme di aiuto della società che cadono sotto l'ombrellone del cosiddetto assistenzialismo. Tutti abbiamo nel cuore l'ambizione di condurre una vita quantomeno dignitosa; nessuno ci tiene a spaccarsi la schiena più del necessario (quindi smettiamola con la retorica del contadino degli anni 20 che si sveglia alle 4 con la gioia di zappare per la patria). Se alcuni stipendi sono paragonabili al RDC, il problema sono gli stipendi stessi; se alcune mansioni non lasciano il tempo di vivere a chi le svolge, è un problema dell'organizzazione del lavoro. Il fatto che la gente stia diventando più attenta ed esigente col proprio tempo (che è limitato) è un segno di avanzamento della società. Se un domani arriveremo ad un punto tecnologicamente parlando tale da consentire a tutti di vivere in modo quantomeno dignitoso senza dover lavorare, non sarebbe forse una cosa positiva? O dobbiamo starci a raccontare la manfrina della gioia del lavoro (e mi riferisco ancora ai lavori cosiddetti dietro le quinte, non le vocazioni personali)?


Ruggero Freddi qui non si sta parlando di gente che vuole starsene con le mani in mano, ma di gente che non considera più 'far carriera' una cosa per cui vale la pena fare anni di straordinari non pagati. Di gente che, pur andando a lavorare tutti i giorni, non vede la carriera come uno strumento di realizzazione personale, ma piuttosto come un obbligo più o meno fastidioso ma necessario per mantenere la propria famiglia e i propri hobby.
Personalmente, ho un sacco di amici che hanno iniziato la loro vita professionale con entusiasmo facendo mille sacrifici per arrivare a fare un lavoro che li appassionasse nel campo che avevano studiato; 10 anni dopo, all'ennesimo contratto a progetto a 1000 netti al mese senza prospettive di maggiore stabilità o maggiori guadagni, hanno gettato la spugna e si sono trovati un impiego stabile e decentemente retribuito in un ambito che non li interessa minimamente e in cui non hanno alcun desiderio di avanzare di carriera, o di dedicare al lavoro un secondo in più del loro tempo rispetto a quanto previsto da contratto. Perché senza un contratto a tempo indeterminato non si può chiedere un mutuo, ne andare in maternità con la ragionevole sicurezza di ritrovare il posto di lavoro. A che serve arrivare ad una buona posizione dopo 10,15 o 20 di 'gavetta' in cui si è dovuto rinunciare a comprare casa e ad avere figli?


Alberto Pedrotti il problema è fare due conti, che senso ha lavorare più di 40 ore a settimana sino a settant'anni, si sta prendendo coscienza che la tecnologia deve ridurre l orario lavorativo, non ha senso lavorare per arricchirsi e non godersi il tempo, piuttosto meglio una vita in cui oltre al lavoro si curano altri asset, famiglia, passioni ed interessi e si lavora il giusto per avere una vita dignitosa. Avere soldi e successo non penso sia la priorità di tutti. Si può avere una vita diversamente ricca rispetto al passato. L' economia del consumo quindi esisto si trova ad un bivio.


Logan Leone chi infatti sta commentando non si è reso conto di essere della fascia 1950-80 quando finita la guerra era necessario ricostruire il paese e partivano tutti da zero, quindi venivano assunte persone con la prima elementare e messe anche in posti di rilievo. Nemmeno si sono accorti che è la classe di persone che ha avuto il maggior numero di privilegi (vedasi ad esempio sistema pensionistico retributivo). Straparlano perché fanno confronti tra l'attuale sistema lavorativo ed il loro, come se fosse possibile paragonare due sistemi differenti separati da mezzo secolo. A detta loro a 15 anni già lavoravano, si sono solo dimenticati di dire che a 50 anni erano già in pensione mentre io ad 80 starò ancora lavorando.


Fabio Albanese che lo Stato ti frega il 50% è assodato, ma per intraprendere, bisogna vedere su cosa: se vuoi aiutare la vecchina a pagare le bollette è un discorso, se vuoi fare una attività di vendita di beni e servizi, ci vogliono prima i soldi per l'investimento da creare. Ora, dipende, se uno ha lavorato alcuni anni da dipendente e ha messo da parte i soldi, allora può anche investire i propri guadagni, ma se un giovane ha finito le scuole superiori o l'università da poco, l'impresa deve essere garantita da un investimento prodotto da qualcun altro. I genitori sono quelli che mettono di più sul tavolo queste garanzie.


Ruggero Freddi non è un discorso di meritocrazia. Qui stiamo dicendo un'altra cosa: fino a tot anni fa la realizzazione personale passava soprattutto attraverso il lavoro, a scapito spesso delle proprie inclinazioni e della propria vita sociale. Oggi non è più così. Non è più accettabile che stante un contratto e stante una retribuzione una persona debba essere reperibile in ogni momento o adattarsi a ogni ruolo "per la gloria del capo e dell'azienda". E il fatto che sia o meno riconosciuto è marginale: finalmente stiamo prendendo coscienza del fatto che la risorsa più preziosa che abbiamo è il tempo, e va speso per fare quello che ci rende "noi", non per far fare bella figura al capo.


10ºRuggero Freddi se con "nunfancazzismo" intendi dire che una persona pagata per una mansione svolge quella mansione e non tutto quello che serve perché "sei dipendente e se voglio ti licenzio" allora direi che è un bel passo in avanti. La collaborazione tra datore di lavoro ed impiegato si instaura dove c'è una cultura aziendale adatta, non ovunque sulla base del ricatto. E sempre sulla meritocrazia. La maggior gloria personale, fortunatamente, oggi la si desidera raggiungere fuori dal luogo di lavoro, e non vivendo un'esistenza legata a doppio filo con la propria professione, senza spazi di decompressione e soprattutto senza distinzione tra vita lavorativa e vita personale. Piano piano le persone diventano più esigenti col loro tempo, come è giusto che sia. Vogliono lavorare per vivere, non vivere per lavorare. Naturalmente qui non parliamo di manager di grandi corporazioni, parliamo di gente normale che vuole avere un lavoro dignitoso, uno stipendio decente e il tempo di vivere.




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