Beatrice Rana, la pianista italiana più richiesta al mondo: "Manca una cultura di base: si insegna Picasso ma non Stravinskij"

"Oggi è il momento di pensare al ricambio generazionale, ma il sistema educativo italiano è ancora fragile. A 19 anni ti puoi diplomare senza sapere chi fosse Verdi. E, altrettanto scandaloso, si insegna Picasso ma non Stravinskij"

           

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Claudio Milano sono d’accordo con te. Ma non possiamo negare che buona parte dei compositori del dopoguerra, delle cosiddette avanguardie, erano i primi a concepire la loro arte come non propriamente destinata al pubblico, ma come opera compiuta in se stessa per la quale la performance non era il compito principale ma solo “l’ultimo tassello”. Il percorso che portava alla creazione dell’opera e della sua elaborazione era il focus. Il linguaggio di per sé è qualcosa che crea comunicazione. Ma se crei un linguaggio per cui è necessaria una formazione molto più che basilare per avvicinarcisi, l’ostruzionismo è in parte anche un autogol. E lo dico da estimatore di non pochi autori contemporanei, come penso tu possa immaginare. Ciononostante, non li beatifico solamente per il fatto che abbiano compiuto uno sforzo di novità, se tale sforzo crea come conseguenza una spaccatura fra mittenti e destinatari (perché in fondo entrambi fuggono dall’incontro, sia autori che pubblico, in molti casi).


Se siamo sinceri, nei vecchi ordinamenti c’è stata gente che anche a 15/16 anni si diplomava, magari anche con eccellenza, perché allora non c’era un limite di età vincolato al possedimento di un diploma di scuola superiore antecedente a quello di conservatorio. I corsi di storia della musica, almeno per la mia esperienza, sono migliorato ora che si dividono in tre annualità (nel triennio accademico) sia per i monografici universitari che per i cosiddetti “debiti”. Non c’è più la gestione del corso in 32 tesine più quelle di acustica (che nel triennio è un corso ulteriore), ma si affronta tutto e in modo abbastanza approfondito (almeno nel mio caso, ‘900 e primi anni 2000 compresi).
Sono pienamente d’accordo che ci sia una falla nella scelta delle materie dell’educazione generale scolastica, ma non è che il 19enne di oggi citato sia meno formato del 16enne vecchio ordinamento, anzi. In un triennio accademico ci sono varie materie di analisi, armonia, musica da camera e corale, accompagnamento pianistico, e i programmi sono più aperti ma consentono anche di affrontare repertori che raramente si toccavano negli ordinamenti precedenti.
Prima di sparare così io ci rifletterei un po’ meglio.


Andrea accanto ad alcuni autori di cui parli (e mi viene in mente Petrassi ad esempio, ma anche Scelsi) ce ne sono stati molti di più (l'intera generazione minimalista, Cage, gli "spirituali": Ligeti, Messiaen, Penderecki, lo stesso Romitelli citato prima, Nono, Berio, quel poveretto di Cilio, Preisner, Yared e la nuovissima leva) che invece quell'atteggiamento di cui parli non l'hanno mai avuto. Non solo, è decisamente oggettivo che ben altra sbobba comportamentale abbia riguardato un direttore d'orchestra come Toscanini, che lo abbiano avuto gli "esecutori" della musica tra il Medioevo e l'Ottocento (pianisti e soprano soprattutto, ma anche sopranisti e mezzo soprano devoti al barocco). Prins è uno con cui dialoghi in rete se lo vuoi, giusto per fare in esempio, un cantante lirico per scendere da un piedistallo deve farti fare prima un provino per il Rotary e magari un altro sotto le lenzuola. È oltremodo vero che ogni linguaggio necessita approfondimento. Non ho mai trovato un individuo che apprezza Mahler senza aver cercato di avvicinarsi a un certo tipo dil analisi e manco Bach (allo stesso modo se si fa vedere a un bimbo un dipinto bizantino e poi un Leonardo dirà che il bizantino "non sa disegnare"). Se poi la proposta è una riduzione formale a quanto già sappiamo è finita e rassegnamoci a Einaudi. L'educazione all'ascolto inizia dall'indagine e il rispetto delle dinamiche prime/essenziali del suono, a partire dal quale non solo la voce nell'ottica di Joan La Barbara, ma tutto diviene "the original instrument" a partire dal silenzio. Occorre oltremodo piantarla con l'intendere la musica in modo solo filo-occidentale e sforzarsi di comprendere come un quartetto d'archi a suonare con un gruppo di percussionisti africani, se non è il Kronos Quartet fa una fatica boia. I bambini non fanno alcuna fatica ad accettare "Five Men Singing" di Minton e soci, sono gli adulti che nel credere di "sapere" sulla base di quattro nozioni sanno poco o nulla (come tutti del resto). Il suono tout court è la nuova frontiera e le forme appresso ad esso possono diventare un gioco.


Claudio Milano concordo nuovamente in parte. Perché gli autori minimalisti e delle correnti spirituali ecc non appartengono al concetto che ho espresso, esattamente come hai detto peraltro tu: in loro non c’era più quella spinta speculativa/si ricerca, ma la tendenza opposta: tornare a qualcosa di meno “serializzato” (un po’ all Boulez per intenderci e i Darmstadtdiani) e più rivolto a chi ascolta - senza per questo banalizzare la musica, anzi: il fatto che Cage abbia scritto Dreams o In a landscape non è certo per scrivere branetti easy per pianisti alle prime armi, ma c’è un pensiero profondo dietro. Proprio Cage provocò più volte, aldilà di 4’33, anche con (ora non mi ricordo il titolo) il brano scritto sorteggiando con I Ching, quel sistema ormai un po’ saturo di parametri predefiniti e, in un certo senso, “spersonalizzante”. Se spersonalizzi te stesso, come puoi pensare che ti si venga incontro? Qualcuno potrebbe dire che in qualcosa di spersonalizzato ci si possa rivedere in molti: ma è falso, perché il preconcetto iniziale era comunque del tutto personale. In questo senso la musica aleatoria ha avuto un ruolo interessante, per quanto lo stile di scrittura restava nei meandri delle correnti coeve.
Per qualunque musica e autore c’è un minimo di analisi. Ma non era questo quel che ho detto: ho parlato di predisporsi verso l’altro. Anche se non si tratta di “appagare il pubblico”, la musica è proiettata verso l’orecchio e il cuore di chi ascolta. Scrivere con uno stile che priva la musica di quella sintassi vicina alla lingua e alla poesia/letteratura, non si può pensare che non crei uno shock e una distanza. Non era più un incontro , diciamo, a metà strada: era una scalata di vetta che toccava solo all’uditore, mentre l’autore stava sulla vetta, con non proprio poca spocchia a volte, anzi.


Di più. L'intero XX secolo in arte non viene insegnato nella scuola dell'obbligo, né in quella ad alta specializzazione. Tutti sanno di fenomeni di costume ma pochissimi sanno di compositori e performer appartenenti alla sfera della musica "colta", che in realtà già a partire dalla seconda metà degli anni 60 con la cultura popolare ha trovato un legame strettissimo producendo capolavori innegabili. Questo meccanismo va a solo a vantaggio di chi è esecutore di musica antica e di chi ha bisogno di sentirsi titolato solo perché fa riferimento a una cultura che è stata approvata e non apre a troppi interrogativi (pop da classifica - classica propriamente detta). Chiedetelo a un critico musicale, a un allievo di un Conservatorio: "cosa conosci di Stefan Prins? Di Romitelli?". Al limite vi dirà che ha sentito nominare Sciarrino e concluderà con un "eh...ma quella è musica che va capita, al pari di una plastica di Burri". Lo farà mentre ascolta in cuffia i Maneskin sperando di suonare con loro per potersi appropriare di parte della loro vita, non per la musica che suonano. Sia data visibilità (o almeno possibilità di esprimersi davanti a un pubblico) al moderno, al contemporaneo e come la si dà a fenomeni di costume, venga data quella a chi fa avanguardia. Chi è artista apre a nuovi linguaggi, se quei linguaggi non possono arrivare al pubblico perché si fa ostruzionismo ad essi, è la fine, si certifica solo un salotto bene in uso al poitically correct.




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