Diritti, mamma e papà non bastano [di Massimo Recalcati]

"Generare un figlio non significa di per sé essere una madre o un padre. Madre e padre si diventa attraverso un gesto infinitamente ripetuto di adozione simbolica della vita del figlio. La sostanza del legame famigliare non è il sangue, ma la capacità di amore e di cura nei confronti del figlio. Non dovremo allora avere pregiudizi sul fatto che una coppia omoparentale, unita da un profondo sentimento amoroso, possa cimentarsi nell’impresa di provare ad essere dei genitori sufficientemente b

           

https://www.facebook.com/Repubblica/posts/10163020010731151

Matteo Rossini eheh e no caro mio. Sai cos'è ? È che sei tu che dovresti trovarti in imbarazzo nel credere di riuscire a capire tutto quello che provano quelle donne che fanno quella cosa. Ma non possiamo pretendere tanto da chi interloquisce nel modo in cui interloquisci tu. Quindi vedi, al di là del fatto che l'ignorante lascio pure a te dire chi sia tra noi, perché anche tu hai diritto alla tua piccola soddisfazione quotidiana, forse un giorno scoprirai che ci sono condizioni di vita nelle quali è ben difficile riuscire a fare delle scelte in totale e assoluta libertà. Ma te lo spiego in un'altra puntata.
Tu ci racconti la storiella già smontata mirabilmente da Marx del proletario che è "libero" di vendere o meno la propria forza-lavoro nel sistema del capitale. Una libertà che naturalmente non esiste.
Tutto ciò premesso, e al di là della legittima libertà di decidere (se davvero tale libertà c'è), ti faccio notare una cosa che nella foga pavloviana con cui mi hai risposto probabilmente ti è sfuggita, e cioè che io parlo del sistema in sé, del meccanismo in sé, della possibilità in sé, non del solo penultimo atto ossia la decisione di quelle donne.
Per un liberista reazionario sfruttatore come te non esiste limite al mercato. Per me invece un limite c'è. Caro.


Claudio Zattera ora che conosco il tuo pensiero (per fortuna ogni tanto trovo qualcuno che parla in modo civile) ti posso dire la mia. Anche io credo fortemente nei valori che hai elencato tu, assolutamente con un però... I genitori sono chiamati così per convenzione ma se ci si guarda intorno vediamo le situazioni più disparate, figli che uccidono i genitori che li hanno creati, genitori che uccidono i propri figli etc etc etc. Io credo che le somiglianze vengano dal vivere insieme anche, non hai idea di quante volte mi hanno detto che assomigliava a mia mamma..... Eppure non sono sua figlia biologica.
I miei genitori sono la cosa più bella (oltre a mia figlia) che mi sia capitata nella vita. Ho un legame talmente forte con loro che mi lacrimano gli occhi anche solo a scriverti di loro. Per quanto riguarda la "mamma" biologica, nonostante tutti i discorsi di legami... Per me è solo stata un'incubatrice! Mio padre biologico non so nemmeno chi sia e sinceramente non mi interessa, io il Papà ce l'ho!


Marcella Dall'Aglio Io sono sempre disposto al dialogo, ma per me esistono valori non negoziabili: vita amore identità rispetto onestà giustizia fedeltà famiglia (e altri) sono valori che nascono con l'uomo (non dipendono dal modello culturale dominante). I genitori si chiamano così perché portano e dividono con i figli i geni, e quindi anche, in parte il comportamento (ha gli stessi occhi della madre, ha lo stesso carattere del padre si ente dire spesso dalla gente per indicare un legame perfino evidente con i figli), la visione del mondo. io posso ritenere possibile l'adozione e l'affidamento, sono soluzioni che limitano i problemi che qualche volta la vita purtroppo regala, ma sono condizioni che, al di là di slogan e posizioni alla moda o della politica, non potranno mai avere la stessa forza e la stessa intensità di un rapporto materno. Ti auguro ovviamente di aver potuto godere e magari di godere ancora della solidità di un legame con i genitori di questo tipo.


Antonella Policastrese al bambino non interessa un cazzo di dire mammina e papino, il bambino vuole essere amato. Il bambino non sa contare e non gliene frega un cazzo di avere uno, due o tre genitori. Il bambino non sa cosa sia il gender, quindi non gliene frega un cazzo di che sesso sono i genitori. Il bambino non è ha studiato genetica, quindi non gliene frega un cazzo se uno è un genitore naturale e l'altro adottivo. Il sangue è un fluido che ti scorre dentro e porta nutrienti alle cellule, e ogni essere umano ha il sangue formato esattamente dalla stessa roba, chi piu chi meno. Evidentemente non hai MAI parlato con una persona adottata: eccomi. Non me ne sbatte un cazzo di sapere chi mi ha partorito e spero anche di non scoprirlo mai, e così anche credo il 90% degli altri adottati. guardi troppi film tata, la vita funziona in maniera differente


C'è solo un piccolo problema, caro Recalcati. I genitori adottivi non solo devono amare il figlio come se fosse geneticamente loro, ma devono anche comunicargli la verità delle proprie origini, devono sostenerlo nel processo di costruzione e riparazione della propria storia e valorizzare anche la diversa ORIGINE di cui è portatore riconoscendolo in ogni aspetto della sua IDENTITÀ. Riconoscere e dare valore alla differenza, costruire una salda appartenenza alla famiglia adottiva e riparare il dolore dell'origine: è questo che rende l'adozione una sfida possibile (cit.).
Possiamo quindi chiederci: come svolgere questo compito nelle situazioni in cui i genitori sono responsabili del “vuoto d'origine”?


Che la madre, la donna che ha partorito, non sia la madre naturale è un’idea assurda. Eppure, c’è chi la razionalizza nella maternità surrogata, specie nella versione gestazionale. Gli spermatozoi sono di un uomo, gli ovuli di un’altra donna. Quindi, la madre surrogata non è la madre genetica. Lei «solo» contiene e partorisce. I veri genitori sarebbero i fornitori dei geni. Infatti, la madre surrogata, pur dotata di ovuli suoi, deve subire l’impianto degli ovuli di un’altra donna, proprio per essere «meno» madre. L’idea è credere di poter separare la gestazione dalla maternità. Di qui l’espressione «gestazione per altri». Un’aberrazione che disumanizza la riproduzione umana e la trasforma nell’alienante processo di fabbrica. Da dove nasce questa aberrazione?

Per tutto il tempo della nostra specie, abbiamo creduto, non a torto, che la vita fosse generata dalle donne. Molte culture antiche erano società matrilineari, perché riconoscevano alle donne il ruolo esclusivo o principale nella creazione della vita. Solo in coincidenza con la rivoluzione agricola, gli uomini maschi hanno intuito meglio il loro ruolo nella generazione. Noi, persone oltre la mezza età, abbiamo fatto in tempo da bambini ad ascoltare l’antica spiegazione analogica. Come il contadino insemina la terra e poi ottiene i frutti, così l’uomo insemina la donna e poi ottiene il figlio.

Nel patriarcato, gli uomini hanno deciso che il contributo maschile alla generazione fosse il più importante, il contributo attivo, o addirittura l’unico contributo. Secondo Aristotele, l’ideologo del patriarcato, il maschio era il responsabile della trasmissione della sostanza vitale, lo sperma, la donna, invece, aveva solo un ruolo passivo nel processo di generazione del figlio, quello del contenitore per il feto in crescita.

Questa idea è sopravvissuta fino al XX secolo. Nel 1956 fu scoperto il contributo genetico degli ovuli, dimostrando che le cellule umane contengono 46 cromosomi, 23 derivanti dall’uomo e 23 derivanti dalla donna. Così, la donna è stata parificata all’uomo nella trasmissione dei geni. Ma, nel senso comune patriarcale, il primato genetico è stato confermato. Sia il patriarcato (l’uomo superiore alla donna), sia la parità di genere (la donna pari all’uomo) sopravvalutano il contributo genetico comune ai due sessi e sottovalutano lo specifico contributo femminile nella riproduzione umana: la gravidanza. Anche la donna trasmette i geni e per il resto rimane un contenitore.

Invece, la madre, oltre ai geni, ci mette il sangue, i tessuti, l’ossigenazione, il nutrimento. Sviluppa la creatura dal suo corpo, nel suo corpo. La maternità rimodella il cervello delle donne, ne modifica le aree della corteccia cerebrale cruciali per accudire la creatura e prevedere l’attaccamento della madre al figlio, resa più capace di percepire bisogni, emozioni, pensieri. Nei nove mesi di gravidanza il figlio sviluppa una relazione psicofisica con la madre ad un livello di simbiosi irripetibile. Con quella madre che lo porta in grembo; non con gli ovuli o gli spermatozoi di chissà chi.

Se un costruttore ci facesse una casa a partire da due granelli, gli riconosceremmo un potere magico o divino. E mai avremmo l’impudenza di dirgli: «Sei bravino, ma la vera creazione l’ho fatta io che ti ho portato i due granelli». Con le madri ci siamo comportati così. Con le madri surrogate, rinforziamo questo comportamento.

Certi progressisti credono che le famiglie arcobaleno siano sempre e comunque alternative alle famiglie patriarcali. Ma se alcune delle «nuove famiglie» pensano di formarsi adottando pratiche come l’utero in affitto, non solo confermano la sostanza ideologica del patriarcato, ma fanno fuori quel poco di tradizione matriarcale finora sopravvissuta, nonostante il patriarcato. Vogliamo davvero permetterlo?

Se fossimo appena giusti, invece di elaborare istituti giuridici abominevoli, per fare della riproduzione umana un’industria e un mercato, concepiremmo un diritto di famiglia fondato sul diritto della madre.


esattamente:
Aprendo un qualsiasi manuale di psicologia dello sviluppo edito a partire dagli anni ’70, chiunque può apprendere facilmente che, a pochi giorni dal parto, il neonato riconosce e preferisce selettivamente la voce della madre rispetto a quella di altre madri; riconosce e preferisce l’odore del suo latte rispetto a quello di altre madri; attraverso la sua capacità di percezione transmodale, riconosce e preferisce il “timbro” comportamentale della propria madre, un codice unico che il bambino solo conosce e che lo sintonizza con “quella” persona che lo allatta, gli parla, lo abbraccia, lo calma – “quel” ritmo e non altri, per quanto amorevoli e attenti possano essere. La teoria dell’attaccamento, d’altro canto, ci ha spiegato come ciascuno di noi nasca preprogrammato biologicamente a ricercare fin da subito una figura “adulta e saggia” in modo tale da ottenerne protezione e conforto nello stress, nella paura e nella difficoltà. Diverse persone – i caregivers, nel lessico della psicologia dello sviluppo – forniranno nel tempo questa base sicura. Ma in questa pluralità esiste una gerarchia, e la MADRE BIOLOGICA ne costituisce il vertice. Proprio a motivo di quei 9 mesi, della preparazione alla vita che rappresentano attraverso l’acquisizione del codice di corrispondenza unico e irripetibile, e perciò non riproducibile nella relazione con altri caregivers.
https://giampaolonicolais...22D0UIgFg4CZxFI




+