Sembra uno strano fungo, invece è un insolito animale volante

Un avvistamento singolare

           

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A proposito di strani esseri ! la Repubblica ecco un vero giornalista EDITORIALE di Marco Travaglio
Direttore del Fatto Quotidiano - 3 agosto 2023

I TERZOPOLLISTI
Ricordate il Terzo Polo? Un anno fa, quando Calenda baciò Letta e poi lo mollò sull’altare per mettersi con l’altro caratterista nella nuova coppia Ollio e Ollio (Stanlio se l’erano mangiato metà per uno), i giornaloni erano tutti per il Grande Centro, misteriosa entità devota a un esoterico e introvabile incunabolo, l’Agenda Draghi, che nei sondaggi era sesta, ma tutti la davano terza su ordine dei padroni. Intervistone quotidiane al capocomico Carlo e alla spalla Matteo, che vaneggiavano di 15 o 20%, promettevano il “ritorno di Draghi”, annunciavano che “grazie a noi Meloni non governerà mai” o “cadrà in sei mesi”. Memorabile la paginata di Rep sulle avventure di Calenda, “l’uomo mercato corteggiato da tutti”, i suoi tatuaggi e la sua infanzia di ragazzo padre a 16 anni: così giovane e già così zinnuto, infatti “allattavo mia figlia Tay”. Il balio bagnato. Purtroppo gli elettori disobbedirono e il Terzo Polo restò sesto, ma ormai tutti lo chiamavano così. E insisteranno anche ora che diventerà settimo od ottavo, appena il duo si scinderà come l’atomo: calendiani a Capalbio, renziani al Twiga.

Ormai perfino Rep decreta che “il Terzo Polo non esiste”, con la stessa aria perentoria con cui finora ci sbomballava i santissimi per pomparlo. E il Foglio, che di Calenda e Renzi era l’house organ pubblicando 3-4 pagine al giorno di loro discorsi integrali, fischietta spiritoso: “Renzi e Calenda: il richiamo alla serietà è la cosa più comica della politica”. Dopo i giornali che prendevano sul serio i due comici, s’intende. Sono gli stessi che, da quando la Schlein ha vinto le primarie del Pd e il Pd le ha perse, ne profetizzano la fine imminente per le uscite di tali Fioroni, Borghi e D’Amato, noti frequentatori di se stessi. Non hanno capito che le scissioni, come quelle calendiana e renziana, sono un toccasana. Il guaio, per il Pd, è averne subìte troppo poche. Se fosse uscito pure Guerini, oggi il Pd non avrebbe l’imbarazzo di un dirigente che invoca una guerra in Niger (come se fosse roba nostra) e fa sembrare sensato persino Crosetto. Se fosse uscito pure Fassino, il Pd non dovrebbe vergognarsi di un sette volte deputato che vota pro vitalizi esibendo l’indennità parlamentare da 4.718 euro al mese e nascondendo diarie e benefit che portano il totale a 13mila (o a 17-18mila per chi presiede commissioni). Fortune come la scissione Di Maio, che si portò via 65 poltronari, càpitano solo a Gastone Conte. Ma, quando ciò accadde, i giornaloni decretarono la morte di Conte e dei 5S, non di Di Maio. Sono gli stessi del default russo, della caduta o morte di Putin per uno dei tanti cancfri, della trionfale controffensiva ucraina, della fine di Trump. E non si fermano mai: quando una cazzata gli esplode in mano, ne stanno già fabbricando un’altra.

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