Ricostruito il volto a un’infermiera del 118 coinvolta in un incidente stradale a Napoli

La donna è arrivata al Pronto Soccorso del Cardarelli in condizioni drammatiche, avendo subito un gravissimo trauma alla faccia che le aveva asportato molti tessuti muscolari e ossei, oltre a grandi porzioni di pelle

           

https://www.facebook.com/Repubblica/posts/451766803842753

Alice Campisi l’istituzione universitaria è in serio in pericolo. Se i fattori alla radice della crisi attuale, individuati nell’accrescersi di forza del modello neoliberista, nell’incremento delle diseguaglianze sociali, e nella crisi economica devastante sono i medesimi che insidiano e minano alla radice il progresso di tutta l’umanità in Occidente, le aree di azione, i canali attraverso cui essi possono incunearsi e far leva, creando nuovi processi patogeni nella società, o per non dire disastri a catena anche nell’istituzione universitaria, sono diversi e disparati.
Anzitutto, abbiamo la situazione delle più giovani generazioni, che si troveranno sempre più, di qui al prossimo futuro, di fronte al rischio di essere sempre meno incoraggiate a proseguire i propri studi in un percorso universitario. All’esempio di paesi come gli Stati Uniti, dove la privatizzazione massiccia dei servizi e delle istituzioni ha provocato nei decenni un innalzamento stesso vertiginoso dei loro costi per il cittadino, spesso del tutto spropositati e ingiustificati, rendendo l’università qualcosa inevitabilmente di elitario e ad appannaggio di chi proviene dalle classi più abbienti, si aggiunge un altro rischio tipicamente nostrano. Quello di una popolazione giovanile inebetita, in una condizione di decrescita negli standard di livello culturale e di funzionamento intellettivo raggiunto, che semplicemente rifiuta l’opportunità di avere accesso all’università, perché sempre più disinteressata alla cultura e alla scienza, incapace di competere per soddisfare gli standard di acquisizione di un diploma o di un titolo, ma al tempo stesso sfiduciata dalla rappresentazione di un percorso di studi che non vale la fatica che esso comporta, in termini di costi economici, di sforzo e abnegazione ai fini del proprio innalzamento nella scala sociale, nel trovare un lavoro, nel dare senso alla propria esperienza formativa personale e individuale, al servizio di un progetto di vita e per il bene comune.
Il rischio di un taglio di fondi lentamente sempre più grave ma inesorabile, ma soprattutto di una dequalificazione di un titolo di merito e di un iter di studi, si affianca, a un altro livello, alla delegittimazione di interi dipartimenti universitari nel loro complesso, e si aggiunge a un’angoscia forse ancor più grave per noi rappresentanti in particolar modo delle discipline umanistiche nell’università: è la paura di scomparire, o quantomeno di fare i conti, già da ora, con un futuro ancor più incerto, precario, a tinte nebulose o per non dire fosche.
Ora, a distanza di qualche tempo dalla sua entrata in regime, non può sfuggire un aspetto che già era prevedibile, dagli osservatori più attenti e critici, paventato dentro la riforma Gelmini, e che nel momento in cui la riforma entra in atto comincia a rivelare tutta la sua evidenza. Al taglio dei fondi, alla competizione tra gli atenei, alla riduzione del personale, alla precarizzazione dei ricercatori e alla chiusura delle facoltà universitarie, si aggiungono le conseguenze di un accorpamento delle discipline e dei docenti in nuovi dipartimenti universitari.




+