La docente precaria: “Voglio insegnare nonostante le difficoltà. Mai avuto il posto fisso, ma così è l’Italia”

Silvia Vindigni, torinese di 39 anni, si è laureata nel 2010, ha una bambina, ed è una dei tanti insegnati che non hanno una cattedra stabile. “Per fortuna mio marito è dipendente, se no non saprei come fare”

           

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caro Alberto non si tratta di frignare ma di vivere, tu conosci quanto me la rivoluzione in atto dovuta alla tecnologia esasperata, che non è assolutamente da respingere, ma ci mette in un angolo di precarietà e confinamento feroce se non viene in qualche modo risolto, il problema dell' individuo che si affaccia alla vita, del possa percorrerla serenamente e poi concluderla. non si è mai presentato il dramma dell'esistenza umana in termini così assoluti. i parametri non sono più quelli di ieri, sono tutti a fondo scala, la storia della precarietà della scuola è storica ma va inquadrata ormai in un sistema globale che è precario per quasi tutti gli 8 miliardi che siamo su questo pianeta. La realtà di oggi è drammatica, caschiamo irresponsabilmente in guerre, licenziamenti e restrizioni economiche generalizzate. Alberto il momento è critico .


Isabella Ti quando ho iniziato a lavorare a scuola ho capito che non sarebbe bastato essere laureata ma bisognava comunque acquisire altre competenze e continuare a studiare per lavorare meglio e avere la speranza di vincere un concorso. Tanti miei coetanei mi ridevano in faccia ed ho perso il conto delle battute sceme quando hanno realizzato che avrei continuatoa studiare ad oltranza fino a quando non avessi avutoun lavoro decente, mentre loro investivano in niente di meno che un matrimonio e fiori d'arancio. Dopo meno di cinque anni io ho superato l'ordinario e vedo questa gente lamentarsi a destra e a manca del precariato quando due anni fa molti di loro non hanno nemmeno provato a sedersi al concorso perché "la sede è lontana e non vale la pena di spendere 100 euro di viaggio visto che ho studiato poco perché i bambini non mi lasciano studiare".


Non è colpa di nessuno se, dopo il boom dello Stato sociale dopo gli anni Sessanta, l'imbuto del pubblico impiego si è ristretto. Pensiamo che nel 1894, la rivista "La Riforma Sociale" di Nitti, Roux ed Einaudi scriveva: "Il numero di dipendenti pubblici è arrivato all'incredibile cifra di 84.000: una mostruosità. E gli studenti universitari sono ben 18.000: che cosa faranno questi medici senza pazienti, questi avvocati senza clienti, questi ingegneri senza cantieri?" Mentre adesso, che gli studenti universitari sono 2 milioni, e i dipendenti pubblici sono diventati in Italia 3 milioni e mezzo, non ci sono più soldi per assumerne altri. Perché i 5 milioni di partite Iva, che con le loro tasse mantengono tutti i 16 milioni di dipendenti del privato e i 21 milioni di pensionati, si sono stufate, e votano a destra: cioè, per uno "Stato leggero".




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