Schlein: “Firmerò per il referendum della Cgil contro il Jobs Act”

La segretaria del Pd: “Molti di noi dem lo faranno. Rilevante anche la raccolta firme sul salario minimo”

           

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3° "La fine della globalizzazione e l’inizio della guerra tra bande

Adesso è una fase molto diversa della storia. E’ la fase della chiusura dei conti. E’ la fase dove le antiche mire del mondialismo si risvegliano dalla ubriacatura della farsa pandemica e apprendono, con terrore, che i piani non sono andati come previsto.

Non c’è stata l’ascesa del tanto agognato Nuovo Ordine Mondiale, ma c’è stato l’avviamento efficace e rapidissimo di tutta quella impalcatura dell’anglosfera sulla quale poggiava il cosiddetto ordine liberale internazionale uscito dalla seconda guerra mondiale.

Questo ha cambiato tutto. Questo ha portato alla fine di quegli equilibri dei quali De Benedetti è stato un assoluto interprete in Italia.

L’ingegnere però sembra avere un conto aperto con la famiglia Elkann, responsabile ai suoi occhi di un “tradimento” con la liquidazione di quella che è stata a lungo la sua creatura e che è stata la portavoce indiscussa degli interessi delle élite liberali e sioniste in Italia, ovvero la citata Repubblica.

De Benedetti però illude sé stesso se pensa che il suo ex quotidiano sia andato in rovina per John Elkann.

L’apparato dei quotidiani generalisti è ormai semplicemente insostenibile. E’ enormemente costoso ed è enormemente inefficace.

Non è più la stagione del 92 questa dove a colpi di titoli in prima pagina si riusciva ad accendere una rivoluzione artificiale senza nessuna reazione contraria dell’opinione pubblica.

L’era di Internet ha aperto quella finestra di competitività, che poi lo stato profondamente ha cercato goffamente, non riuscendoci, di chiudere e oggi non sono più i media di una volta a detenere la “proprietà” delle notizie e delle loro artefatte narrazioni ma nuovi attori si sono affacciati per offrire al pubblico quelle letture e notizie taciute dal cosiddetto mainstream.

Soprattutto dopo un esercizio costante di menzogne durato decenni e dopo l’enorme fiume di bugie scaricato sui lettori dopo la farsa pandemica, si è messo in moto un meccanismo irreversibile.

I lettori ormai non vogliono più saperne dei quotidiani perché questi non sono lì per denunciare le magagne del potere e delle massonerie varie, ma per coprirle meticolosamente.

Sono lì per nasconderle e ormai la crisi di fiducia è ad uno stadio troppo avanzato per poter essere fermata.

De Benedetti rimprovera ad Elkann quindi di non aver messo capitali a perdere per mantenere Repubblica ma allora si potrebbe chiedere, e certamente non glielo chiedono i media, perché mai non ce li metta lui i soldi per ricomprasi il suo ex quotidiano se ci tiene così tanto?

Gli Elkann hanno a cuore solamente loro stessi e hanno già iniziato a vendersi i vari pezzi della Exor per fare cassa, come già visto con lo stabilimento della Maserati e come visto con le messe in vendita della Repubblica e della Stampa che difficilmente troveranno acquirenti, considerati gli enormi costi, e che forse non è poi così ardito pensare che sono destinate al fallimento per le ragioni appena elencate.

Questi “dissapori” tra due delle famiglie più influenti delle élite italiane ed entrambe di origine ebraica, gli Elkann e i De Benedetti, appare essere la conferma che lassù sul nido del cuculo dello stato profondo in Italia ormai sia un tutto contro tutti.

Ognuno pensa a salvare sé stesso dopo la malaparata e questo ha suscitato profonde irritazioni in coloro che invece vorrebbero ancora tenere in piedi ciò che resta della baracca."


Davvero non capisco le critiche a prescindere ad Elly: ha cambiato rotta rispetto alle politiche indegne del vecchio PD sulla Libia e sui campi di concentramento previsti per gli immigrati da un ministro degli Interni (che era del PD) impresentabile, ha cambiato rotta sul salario minimo, ha cambiato rotta sulla legalità con tanto di impegno ufficiale per i candidati che firmano per una candidatura mentre prima si imbarcava di tutto pur di raccattare voti, ha cambiato la rotta di un partito (che Renzi aveva portato a destra) pure sul Jobs Act e sui diritti dei lavoratori. A livello di mostrare un minimo di credibilità su elementi fondanti della sinistra ha fatto più lei in poche settimane che i 4 segretari del partito precedenti in anni..


Paolo Menchetti speriamo. Ma … : la figlia di un miliardario, super filo americana, che si dà al PD pseudo comunista già di per sè fa strano. Poi: per mia percezione il PD è di sua natura sempre lo stesso dietro (si veda cosa ha fatto col patto di stabilità o le vicende pugliesi etc etc). Il mio sospetto è che più che la dx abbia un obiettivo controllare i 5S, ovvero clonarli o comunque mantenere il posto storico di antagonisti alla dx. Si vedano i media come propinino costantemente il duopolio Meloni Schlein, come se i 5S non avessero esistessero. Inculcare alla gente che votino o bianco o nero. E Meloni ci va a nozze col PD e Schlein, se la mangia a colazione


Salvatore Pistara la proposta sul salario minimo non è un invenzione di Schlein, ma se ne discuteva già con il governo Draghi(con le inevitabili tensioni tra il ministro del Lavoro Orlando,sostenitore di Schlein alle primarie, e il presidente di Confindustria Bonomi).
Ha firmato il referendum sul Jobs Act ma non si vede nessun disegno di legge alternativo a quello introdotto da Renzi nel 2015.Non mi sembra che prima di quella riforma, non esistesse il precariato.
Discorso analogo per le critiche alla gestione dell'immigrazione da parte di Minniti.L' alternativa qual è?
In tutto ciò, al netto di Renzi, c'è un dettaglio rilevante che la mette sulla stessa linea di Bersani,Zingaretti e Letta: la volontà di costruire un campo largo con il M5S di Conte.
Quest'ultimo che,da Presidente del Consiglio firmò i decreti Sicurezza di Salvini, che simpatizza per Trump e da quasi un anno si è schierato contro l'invio di armi all'Ucraina(mentre il PD di Schlein ha votato a favore).
Direi che in quanto a credibilità non ci siamo neanche lontanamente.


4° "La guerra tra De Benedetti e gli Elkann e l’eredità di Margherita

La guerra tra De Benedetti e gli Elkann potrebbe essere la chiave anche per comprendere quanto sta accadendo con la denuncia presentata da Margherita Agnelli sulla eredità che le è stata sottratta dopo che sia suo padre, Gianni, che sua madre, Marella Caracciolo, hanno di fatto deciso di escluderla dalla partita perché Gianni Agnelli ha lavorato per “uccidere” i suoi figli dando lo scettro del glorioso impero automobilistico italiano alla famiglia Elkann.

La magistratura che prima dormiva un sonno profondo si risveglia dal letargo dopo l’esposto di Margherita nel 2022, e non ci si venga a dire che soltanto questa semplice denuncia ha fatto partire la macchina poiché i cassetti delle procure sono pieni di esposti che giacciono in sonno da tempo o che sono stati prontamente archiviati quando giudicati “sconvenienti”.

In maniera davvero repentina la macchina si mette in moto e arriva subito a perquisire l’abitazione del commercialista degli Elkann che, incredibilmente, teneva la prova della presunta truffa degli Elkann contro la madre Margherita nella cantina di casa sua, quasi a voler avere con sé una sorta di “polizza assicurativa”.

La magistratura quando si muove così rapidamente lo fa sempre non perché mossa dalla voglia di fare luce su degli illeciti, ma perché spesso dietro ci sono quelle forze, massoniche e finanziarie, che spingono per aprire quei fascicoli che altrimenti resterebbero ben chiusi.

Margherita, se dovesse avere ragione, dovrebbe essere risarcita di almeno 1 miliardo di dollari che le è stato negato per il raggiro ereditario.

Alla vicenda di Margherita Agnelli si deve aggiungere un altro strano episodio che ha visto protagonista Bruno Vespa nei panni di emissario di droni che sono entrati nella residenza della famiglia Elkann in Piemonte.

Vespa, non è un segreto, è un altro portavoce di quelle obbedienze che comandano lo stato profondo in Italia e questa sua scelta, in violazione di diverse leggi, non sembra essere dettata da una sua presunta intenzione scandalistica poiché le immagini non sono state nemmeno trasmesse.

Lo scopo era probabilmente un altro. Lo scopo era far sapere agli Elkann che ora non hanno più la protezione di alcuni piani alti dell’establishment e che i guantoni ora sono stati definitivamente tolti e non ci sarà esclusione di colpi.

A Repubblica intanto c’è una situazione inedita. Il comitato di redazione scrive un articolo nel quale si parla dei rapporti tra Italia e Francia, che hanno visto la seconda appropriarsi di svariate imprese italiane grazie soprattutto all’euro e ad una classe politica che ha permesso tale scempio, ma il direttore, Molinari, ha censurato il tutto perché il servizio chiaramente era rivolto contro gli Elkann, partecipi di tale processo di colonizzazione economica, visto che hanno portato la FIAT in dote ai francesi in Stellantis.

C’è da dire che l’ipocrisia dei “giornalisti” di Repubblica è senza confini. Per decenni hanno esaltato privatizzazioni e svendite a francesi e altri capitali stranieri, e adesso tirano fuori la storia soltanto perché sulla nave che affonda ci sono loro.

Sono messi così dalle parti del liberalismo e della finanza ebraica. Sono ridotti come i gladiatori che per sopravvivere devono uccidersi l’uno con l’altro, ma non appena qualcuno cade a terra, arriva subito qualcun altro a colpire il “sopravvissuto” in un gioco al massacro che alla fine non lascerà probabilmente nessuno sul campo.

Molti spesso chiedono come andrà a finire questa crisi generale della Seconda Repubblica e della stessa repubblica dell’anglosfera.

I fatti ci stanno dicendo che coloro che servivano questo sistema decaduto sono ormai in una feroce guerra tra di loro.

E prossimamente per costoro le cose potranno andare sempre peggio. Attendiamo dopo le europee quando la Meloni probabilmente proverà ad aprirsi una via di fuga a Bruxelles e dopo un probabile trionfo dell’astensionismo di massa.

Dopo quella data, la crisi della liberal-democrazia “italiana” e dei clan che la governano entrerà in una fase ancora più acuta.

Altri “dei” della politica e della finanza cadranno. La storia ci ha portato a vedere l’epilogo di questo sistema politico."


1° Quella guerra tra gli Elkann e De Benedetti e il crollo dello stato profondo italiano "I sassolini nelle scarpe dell’ingegner De Benedetti sono piuttosto grossi e non possono essere più tenuti, a quanto pare, in delle calzature sempre più strette.

L’ex patron di Repubblica ha rilasciato per la seconda volta una intervista ai media mainstream nella quale l’oggetto della conversazione, o forse dovremmo dire il bersaglio, è stato ancora una volta John Elkann e la sua famiglia.

Le stilettate non vengono risparmiate da parte dell’ingegnere nei confronti di Elkann, definito senza troppi giri di parole come un “pavido”, ma questa irritazione di De Benedetti è dovuta principalmente al fatto che questi imputa al figlio di Alain e di Margherita Agnelli il tracollo di Repubblica.

I lettori ricorderanno che quattro anni fa ci fu un avvicendamento tra i vertici dell’editoria “italiani” che vide passare il gruppo GEDI, proprietario, tra gli altri, dei quotidiani La Stampa e La Repubblica nelle mani della Exor, la holding finanziaria degli Elkann che è a sua volta proprietaria, o meglio lo era prima della cessione con la francese Stellantis, della FIAT o di ciò che restava di essa dopo che Gianni Agnelli e il suo erede designato, John Elkann, la trasformasse in una azienda estera che non privilegia più l’eccellenza automobilistica italiana ma serve ben altri scopi, soprattutto quelli di interessi economici internazionali.

La storia dell’ingegnere è una di quelle strettamente connesse con il potere che conta in Italia e non si può certo trovare sulle pagine dei media italiani, in quanto larghissima parte di questi è stata di sua proprietà ed è ancora del tutto sottomessa a quei poteri che hanno governato la repubblica dell’anglosfera."


2° "De Benedetti: l’oligarca della globalizzazione in Italia

Nato a Torino nel 1936 e di origini ebraiche da parte del padre, Rodolfo, muove i primi passi nel mondo dell’imprenditoria aiutato da Gianni Agnelli, membro del club di Roma finanziato da Rockefeller e vicinissimo a Henry Kissinger, membro del citato club e di un altro potente circolo di mondialisti, il famoso, o meglio, famigerato gruppo Bilderberg.

De Benedetti è in questi ambienti che è di casa, ovvero quegli ambienti che hanno una visione del mondo di stampo puramente autoritario e che prevede l’accentramento del potere nelle mani di un organismo chiamato con il nome tecnico di “governance” che altro non è che la espressione più tecnocratica ed economicistica della concezione massonica del Nuovo Ordine Mondiale.

Nel 1981, l’imprenditore piemontese finisce a processo per via della vicenda che lo vede coinvolto nel famigerato caso del banco Ambrosiano.

De Benedetti era entrato nell’azionariato dell’istituto presieduto dal massone Roberto Calvi e ne era uscito soltanto due mesi dopo, prima del fallimento, intascandosi una plusvalenza di 40 miliardi.

La magistratura decide di processarlo per bancarotta fraudolenta e arrivano non una, ma ben due sentenze di condanna in primo grado e in appello, ma ci pensa la Cassazione a togliere dai pasticci l’ingegnere e ad evitargli una condanna di ben 6 anni di reclusione.

I togati della suprema corte in una delle loro non rare peripezie giuridiche mandano tutto in cavalleria affermando che non c’erano i “presupposti per mandare a processo” l’ingegnere.

Soltanto due anni dopo, nel 1985, De Benedetti è protagonista di una nota e controversa vicenda, quella dello SME, acronimo che sta ad identificare la società meridionale elettrica e che, dopo essere stata acquistata dall’IRI fondata durante il fascismo divenne il più grande gruppo alimentare italiano che era proprietario, tra gli altri, di Alemagna, Motta, Cirio e Autogrill, la principale società di ristoro che oggi è finita nelle mani della famiglia Benetton, già proprietaria a sua volta delle autostrade italiane attraverso Atlantia.

Quell’era è molto diversa da quella contemporanea. C’era ancora nel cuore dell’economia italiana lo stato imprenditore, creatura d’eccellenza del fascismo che aveva consentito all’Italia di uscire dalle paludi della crisi del’29 e dalle macerie economiche del secondo dopoguerra.

Lo Stato non era ridotto al ruolo di mero spettatore che assiste ai processi economici, ma li indirizzava, li governava e faceva in modo che questi rispecchiassero gli interessi economici della nazione e non soltanto quelli di un manipolo di oligarchi come avvenne purtroppo negli anni successivi.

In quegli anni però inizia a soffiare anche in Italia il vento del neoliberismo. La Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la Francia iniziano ad abbandonare i precedenti modelli neo o post-keynesiani che avevano consentito a questi Paesi, soprattutto al Regno Unito, di avere un elevato modello di welfare sociale e un’assistenza sanitaria di ottima qualità accessibili a tutti.

Arriva l’era della Thatcher e delle privatizzazioni selvagge. Inizia l’era del dominio incontrastato del “grande” capitale e i primi sintomi di questa malattia si vedono già nei primi anni 80 anche in Italia quando Beniamino Andreatta, ministro del Tesoro, e Carlo Azeglio Ciampi, governatore di Bankitalia, tolgono al governo, con un colpo di mano illegale mai ratificato dal Parlamento, il controllo della banca centrale italiana nel 1981 in quello che fu il famigerato “divorzio” Tesoro-Bankitalia.

I risultati furono pressoché disastrosi perché impedendo al Tesoro di ordinare a banca d’Italia di comprare i titoli di Stato emessi dal governo, non è stato più lo Stato ma il mercato a stabilire i prezzi dei titoli e gli interessi così sono andati alle stelle, tanto da creare lo spauracchio del debito pubblico, utilizzato dalla vulgata neoliberale per giustificare ogni tipo di macelleria sociale vista negli anni successivi.

Romano Prodi è interprete perfetto di questa stagione. Approdato all’IRI fa subito capire che il suo scopo non è quello di valorizzare e preservare il patrimonio dello stato ma quello di svenderlo a prezzi di saldo ai vari “imprenditori” molto vicini agli interessi della finanza e del mondialismo.

Nasce così l’operazione SME che stava portando De Benedetti a comprare a due lire tutto il comparto alimentare dell’IRI e che soltanto la lungimiranza politica di Craxi impedì.

L’allora presidente del Consiglio decise di bloccare, giustamente, la transazione e De Benedetti ebbe persino l’ardire di tacciarlo di “interferenza” per aver sventato una indecente svendita del patrimonio pubblico industriale italiano.

Anni dopo, nel 1992, De Benedetti attraverso il suo quotidiano, La Repubblica, veste i panni del futuro signore della nascente Seconda Repubblica e ciò gli riserva duri attacchi da parte di Bettino Craxi che non esitò a chiamarlo “principe della corruzione”.

La Repubblica è stato il quotidiano che più di tutti,assieme al Corriere della Sera, giocò un ruolo decisivo in una rivoluzione colorata voluta dagli ambienti di Washington per lasciare il campo libero al PDS, non sfiorato dai giudici di Milano.

Craxi nel suo libro “Io parlo e continuerò a parlare” informa che in più di un’occasione lui aveva accennato ai giudici che il sistema del finanziamento ai partiti in vigore nella Prima Repubblica non vedeva i partiti come protagonisti principali di quella catena, ma piuttosto i “grandi” gruppi della industria e della finanza che non sono stati toccati dalle inchieste dei togati milanesi, che poco erano interessati ad andare al cuore della corruzione vera, ma piuttosto avevano il solo interesse a demolire una intera classe dirigente e lasciare campo libero al nuovo PCI, divenuto nel frattempo PDS dopo il crollo del muro e dopo il battesimo ricevuto dallo stato profondo americano.

De Benedetti incarna alla perfezione, per così dire, lo spirito di quegli oligarchi che hanno voluto la globalizzazione in Italia attraverso la cessione di sovranità avvenuta nel 1992 a Maastricht attraverso l’adesione all’Unione europea, e la conseguente perdita della sovranità monetaria che ridusse l’Italia nelle condizioni di una colonia priva di stampare la sua moneta, e costretto a indebitarsi con i mercati di capitali per procurarsi la moneta artificiale senza Stato concepita dalla finanza, l’euro."




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