“Paziente operata con l’inganno”: il chirurgo estetico Carlo Bravi sotto processo

Il medico, già accusato per la morte di Simonetta Kalfus, è ritenuto dalla procura responsabile di violenza privata e lesioni

           

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Carlo Bravi, chirurgo estetico romano di 73 anni, già sotto inchiesta per la morte di Simonetta Kalfus dopo una liposuzione.
secondo la Procura, avrebbe sottoposto una paziente 45enne a due interventi al seno senza adeguato consenso. In particolare, il secondo sarebbe avvenuto contro la sua volontà, con anestesia somministrata nonostante l’opposizione. Contestati i reati di lesioni e violenza privata.
il pm Eleonora Fini ha chiesto la citazione diretta a giudizio per Bravi e per l’anestesista. Udienza fissata al 2 dicembre 2025.
Bravi e i suoi legali negano che vi sia stato un intervento forzato o senza consenso, hanno depositato memorie difensive e contestano la ricostruzione della Procura. Non è però chiaro quali prove abbiano portato per dimostrarlo (documenti, testimoni, referti).
Il caso mette in crisi il concetto stesso di consenso informato: come si stabilisce la verità di ciò che una paziente ha voluto o non voluto? L’epistemologia ci dice che non basta la carta firmata, ma serve la ricostruzione di un contesto di linguaggi, silenzi, pressioni. La verità non è mai solo un documento: è un ordito fragile di testimonianze e interpretazioni.
Il corpo umano, nelle società moderne, è divenuto territorio di intervento tecnico. L’antropologia mostra come la chirurgia estetica rifletta un mito culturale: non più il corpo come destino, ma come progetto. Qui l’intervento forzato diventa violazione di quel progetto personale, trasformando il rito sociale (la chirurgia come promessa di rinascita) in trauma.
Sul piano etico la questione è netta: se il consenso manca, l’atto medico si trasforma in violenza. Non è questione di bravura tecnica, ma di legittimità morale. Operare senza volontà equivale a sostituirsi all’altro, cancellando la sua libertà di scelta.
La morale comune percepisce l’episodio come tradimento di fiducia. Il medico non è solo tecnico: è custode di una promessa di cura. Infrangere quella promessa significa intaccare il tessuto stesso del rapporto fiduciario che regge la medicina.
La filosofia ci insegna che ogni atto sul corpo altrui è un atto sul suo essere-nel-mondo (Heidegger). Se il corpo viene manipolato senza consenso, non è solo carne violata: è l’intera identità esistenziale che subisce uno strappo.
Il diritto cerca di fissare confini chiari: consenso informato come requisito essenziale. Ma i casi concreti mostrano la fragilità della norma. La questione non è solo se il consenso sia stato firmato, ma se fosse autentico, libero, consapevole. Il processo sarà il luogo della prova, ma la giustizia rischia sempre di ridursi a formalismo.
Per la paziente l’esperienza è vissuta come annullamento psichico: sedata contro volontà, privata della possibilità di dire “no”. È un trauma che va oltre il danno fisico, perché tocca la radice dell’autodeterminazione. Per il chirurgo, al contrario, potrebbe esserci la percezione di “sapere meglio” cosa fosse giusto: una deriva paternalistica.
I giornali enfatizzano titoli e immagini: “operata con l’inganno”, “il chirurgo sotto processo”. La narrazione mediatica polarizza: vittima pura, medico mostro. Ma così si appiattisce la complessità del caso, trasformando un dramma giuridico ed esistenziale in spettacolo.
La vicenda riflette un’ossessione collettiva per l’estetica e la chirurgia come merce di massa. Non è un episodio isolato: è un sintomo di una società che trasforma il corpo in oggetto di consumo, dove la pressione sociale spinge a delegare a mani esterne la definizione della propria identità.
Il chirurgo diventa figura di un demiurgo mancato: colui che pretende di rifare il corpo come creazione propria, ma rischia di trasformarsi in tiranno del destino altrui. La paziente diventa simbolo dell’essere umano che reclama la propria sovranità sul corpo, contro ogni pretesa tecnica.
Non è questione di titoli, né di aule di tribunale. È questione di guardare un corpo e sapere che non ti appartiene. Ogni volta che un medico dimentica questo, smette di essere medico e diventa carnefice. Ogni volta che una società applaude al bisturi senza chiedere consenso, diventa complice.
La verità è che il corpo non è un foglio bianco su cui firmare: è la biografia irripetibile di chi lo abita. E toccarlo senza ascoltarne la voce non è cura, è usurpazione.